jueves, 24 de septiembre de 2009



I santonofresi festeggiano la Santa Croce

STORIA DI SANT'ONOFRIO

In origine il luogo era abitato da monaci basiliani, che qui avevano un monastero. Sono stati trovati reperti di insediamenti precedenti di piccola entità. Il comune prende il nome da un eremita, Sant'Onofrio del Cao, che aveva preso questo nome in onore di Sant'Onofrio anacoreta. Era chiamato "del Cao" in quanto nella zona è presente un pendio, simile a un burrone, chiamato anticamente dai greci Caos. Attualmente nella località "Cao" è presente una fontana munita di vasche, in cui le donne, fino a qualche decennio fa, andavano a lavare.

CUCINA TIPICA DI SANT'ONOFRIO

Essendo una zona agricola, la cucina si basa principalmente su prodotti della terra, a volte "poveri", e sul maiale. Quest'ultimo è lavorato secondo le tradizioni contadine, durante una specie di festa a cui partecipa tutta la famiglia, per produrre insaccati di vario tipo, nella maggior parte dei quali è contenuta una notevole quantità di peperoncino. La pasta tradizionale sono i fileja, una pasta fresca impastata senza uova e poi filata su un bastoncino di legno per farle assumere una forma a elica. Viene condita con sughi di vario genere, principalmente a base di carne. Altre componenti tipiche della cucina tradizionale sono i legumi, a volte preparati con erbe selvatiche, e i peperoni. Durante le feste di Natale, dal giorno dell'Immacolata in poi, vengono prodotti dei dolci fritti di patate, chiamati cururicchi. La cena di Natale è caratterizzata dalla presenza di tredici pietanze diverse, con presenza fissa di piatti a base di baccalà e di verdura.

TRADIZIONI LOCALI

I costumi locali sono incentrati principalmente sulle feste religiose. Oltre alle classiche processioni, il giorno di Pasqua, prima della messa di mezzogiorno, è inscenata l'Affruntata, una rappresentazione dell'annuncio della resurrezione di Gesù Cristo. Come consuetudine in diversi comuni della zona, l'affrontata è eseguita portando a spalla statue di santi. Negli anni '80, dopo un'abbondante nevicata, un grosso ramo di un albero di ulivo si ruppe. Sul tronco scoperto, secondo alcuni, sarebbe apparso il volto di Gesù Cristo. In quella zona, meta di pellegrinaggi per diverso tempo, fu costruita una cappella. Principale festa del paese, oltre a quella del Santo Patrono, è la festa della Santa Croce che si svolge l'ultima domenica di settembre. La festa in onore della Croce venne celebrata la prima volta nel 335, in occasione della “Crucem” sul Golgota, e quella dell'"Anàstasis", cioè della Risurrezione. La dedicazione avvenne il 13 dicembre. Col termine di "esaltazione", che traduce il greco hypsòsis, la festa passò anche in Occidente, e a partire dal secolo VII, essa voleva commemorare il recupero della preziosa reliquia fatto dall'imperatore Eraclio nel 628. Della Croce trafugata quattordici anni prima dal re persiano Cosroe Parviz, durante la conquista della Città santa, si persero definitivamente le tracce nel 1187, quando venne tolta al vescovo di Betlem che l'aveva portata nella battaglia di Hattin.
La celebrazione odierna assume un significato ben più alto del leggendario ritrovamento da parte della pia madre dell'imperatore Costantino, Elena.
Anche quest`anno, l`associazione santonofrese ha celebrato l`antica festa dell`Esaltazione della Santa Croce. In un clima di profondo raccoglimento e devozione, i santonofresi si sono trovati sabato 19 settembre per la messa in memoria dei fedeli defunti e domenica 20 per la solenne feste nella sede rinnovata e abbellita dal generoso sforzo della commissione. Dopo la Santa Messa e la Processione, il tradizionale pranzo ha raccolto circa 300 persone nell`amplio salone dell`omonima associazione.

martes, 15 de septiembre de 2009

San Pietro e San Paolo
Savelli

Un po` di storia…(savellionline.it)

Domenico Paletta, detto u quarararu, nel 1881 inaugurò il triste fenomeno dell'emigrazione. Fu il primo savellese a lasciare l'Italia per emigrare in Argentina, dopo di lui ne partirono altri, poi altri ancora. Padri, mariti, figli lasciarono il paese con intensità crescente tanto che ai primi del '900 non vi era famiglia che non avesse un suo membro emigrato. Le donne che restavano in paese ricevevano le rimesse dei loro cari con cui allevavano i figli e a volte vivevano anche in agiatezza; moltissime dopo pochi anni non seppero più nulla del proprio congiunto e attesero invano una lettera, un saluto.Molte furono le donne che intonarono:

'Merica, chi te via arsa re fuoco,
Cuomu re fuocu fa' vrujiara mmie;
A llu mio bene ti lu tieni lluocu
E llu fa' stare luntanu re mie
Rille si si nde vena o si sta lluocu
O veramente s'è scurdatu e mie
rille si ci addimmura n'atru puocu,
L'ossa ce po' truvare e no r'a mmie!

Si calcola che dal 1881 circa diecimila savellesi abbiano preso la via dell'emigrazione: fu un flusso ininterrotto, che subì una flessione durante il ventennio fascista. Esso si diresse soprattutto verso l'Argentina, solo un numero limitato di persone si recarono nel Nord America e in Australia. A partire dagli anni Sessanta molti braccianti, contadini e artigiani, con al seguito la famiglia, hanno abbandonato Savelli per raggiungere la Francia, la Germania, il Belgio, il Lussemburgo, la Svizzera e il cosiddetto triangolo industriale dell'Italia del Nord. Ogni capofamiglia ha lavorato sodo nelle miniere di carbone del Belgio, alla Fiat di Torino, in ogni dove col pensiero fisso di fare studiare i propri figli per assicurare loro un futuro diverso dal loro, fatto di più certezze. E' stata questa fede che li ha aiutati nel duro mestiere di emigrante: a loro va tutta la nostra eterna gratitudine.

I festeggiamenti

I Savellesi giunti i Argentina hanno mantenuto le loro tradizioni. Hanno fondato l`associazione savellese in onore ai santi patroni Pietro e Paolo. Domenica 13 settembre in data posticipata causa influenza porcina l`omonima associazione era in festa. Nella sede il P. Fabrizio ha celebrato la santa messa e accompagnato la processione assieme la parroco della zona. Dopodichè si è svolto il tradizionale pranzo. Il Presidente dell`associazione Francisco Rotundo ha sottolineato l`importanza dei giovani nell`associazionismo e si è prodigato per la buona riuscita dei festeggiamenti, che hanno raccolto un gran numero di stendardi proveniente dalla associazioni vicine e lontane, aderenti a FACIA e Faca.
Festa della Madonna del Pettoruto

I festeggiamenti delle nostre feste in Argentina sono sempre una bella occasione per saperne di più sull`origine delle nostre devozioni. Ecco uno spezzone di storia del Santuario della Madonna del Pettoruto (www.madonnadelpettoruto.it).
La storia del Santuario si perde nei secoli. Eretto nel 1274 dice il Barillaro, ad iniziativa dell’Abbazia di Acquaformosa, fu ampliato tra il 1633 e il 1646; distrutto dal terremoto del 1783 e ricostruito nel 1834, fu restaurato alla fine dell’Ottocento e poi nuovamente rifatto e ampliato dal 1920 al 1929.
Altre fonti storiche accennano ad una dipendenza del Santuario del Pettoruto dalla “grancia” cistercense del Monastero Abbaziale di Acquaformosa fin dal 1226; da grancia divenne Commenda nel 1348 ed infine Concistoriale nel secolo XVII.
È a questo periodo che si rifanno alcuni manoscritti come quello del canonico Cristofaro e dell’arciprete Cerbelli, che narrano del ritrovamento della statua, ricavata sulla pietra da un latitante di Altomonte, Nicola Mairo che, nel desiderio ardente di vedere riconosciuta la sua innocenza, la scolpiva così come la vedeva: soffusa da un mistico e materno sorriso con gli occhi grandi dallo sguardo penetrante, dal volto ampio e riposante che ispira materna fiducia.
La statua della Madonna fu ritrovata dal pastorello sordomuto di Scalea, Giuseppe Labazia che, sentendosi chiamato per nome da una voce di donna, la scoprì tra gli elci; per prodigio riacquistò l’udito e la parola e fu il primo a praticare e a divulgare la devozione alla Madonna. Fu costruita una piccola cappella che in seguito fu ampliata fino all’attuale grandioso edificio elevato a Basilica da Giovanni Paolo II nel 1979.
La Conferenza Episcopale Calabra, lo ha promosso a Santuario Regionale.
La fede dei devoti della Madonna si è fatta sentire anche quest`anno. Domenica 6 settembre a San Isidro nella sede del Club SOIVA, l`associazione omonima ha fatto onore alla sua Madonna con la tradizionale processione. La santa messa, celebrata nello spiazzale del Club, era gremita di gente. La tenda posta nel centro dello spiazziale, dove è stata riposta la statua della Madonna dopo la celebrazione eucaristica, è si è trasformata in luogo di pellegrinaggio durante tutta la giornata. Intanto, il pranzo all`aperto, la musica italiana dal vivo e il ballo hanno rallegrato lo splendido pomeriggio di amici e devoti.



San Giovanni Battista di Gizzeria
Il Paese e la devozione

Gizzeria, non vanta origini remote, pur essendo parte di un comprensorio archeologico di notevole importanza. Le sole notizie certe della prima costituzione del paese non vanno al di là del periodo Bizantino. Molto controversa è, anche, l'etimologia del toponimo Gizzeria. C'è chi lo ritiene derivante dal greco Izwsios=essere collocata.
La forma Izaria è, invece da ricondurre alla migrazione albanese. In epoca normanna il nome era stato, al contrario, Yussaria. Da Izaria derivò successivamente Jzaria (1510), poi mutatosi, per ragioni fonetiche, in Jazzaria o Jizzeria. Il nome attuale è in uso dal 1753.
La storia del paese, dopo la distruzione da parte dei Saraceni, avvenuta verso la fine dell'anno mille e precisamente il 981, secondo quanto dicono alcune fonti storiche, è prevalentemente centrata, nei primi secoli, sul monastero greco di S.
Nicola, un piccolo agglomerato di pochi abitanti, alloggiati per lo più in pagliai ed abituri. Il cenobio, che sorgeva su un terreno appartenente ai Cavalieri di Malta, ha avuto dapprima una sua vita autonoma, durata fino a quando Roberto il Guiscardo, latinizzandolo, la concesse alla famosa badia benedettina di S. Eufemia. Intorno a questa comunità, si sviluppava così il primo nucleo dell'abitato di Gizzeria, un paese che non avrebbe avuto però un'ulteriore sviluppo se non fosse stato rinvigorito
dall'apporto di alcuni profughi albanesi, venuti nell'Italia meridionale per domare la rivolta dei baroni calabresi, capeggiata da Antonio Centelles, il quale si era ribellato al re di Napoli Alfonso I° di Aragona.
Il culto di San Giovanni Battista, diffusosi prestissimo in tutta la Cristianità, e molte città e chiese ne presero il nome: la chiesa del paese di Gizzeria è una di queste.
Moltissimi sono anche i patronati, di cui ricordiamo i più importanti:
• Per via dell'abito di pelle di cammello, che si cuciva da sé e della cintura, è patrono di sarti, pellicciai, conciatori di pelli.
• Per l'agnello, dei cardatori di lana.
• Per il banchetto di Erode che fu causa della sua morte, è patrono degli albergatori.
• Per la spada del supplizio, di fabbricanti di coltelli, spade, forbici.
• Un inno in suo onore diede a Guido D'Arezzo spunto per i nomi delle note musicali: Ut Re mi fa Sol La Si, ed è quindi patrono dei cantori.
UT queant laxis - REsonare fibris - MIra gestorum - FAmuli tuorum - SOLve polluti - LAbii reatum - Sancte Johannes
• Come battezzatore è patrono dei trovatelli, che venivano abbandonati alle porte dei battisteri.
• È patrono dell'Ordine di Malta.
Questa devozione, di cui abbiamo raccolto qualche stralcio di storia e spiritualità, è stata festeggiata il 31 agosto a Virreyes. In un caldo pomeriggio domenicale si è svolta la processione e la messa. Anche se il clima di festa è stato spezzato dalla sparizione della moglie di Antonio Scumaci, fondatore e presidente per tantissimi anni del Centro Cattolico Italiano di Virreyes. I presenti si sono uniti in preghiere per stare vicino ad Antonio in questo momento di dolore.
La Madonna della Quercia


Questa devozione approdata in Argentina grazie alla fede e alla tenacia di tanti devoti italiani, ha una storia molto ricca di spiritualità cristiana. Facciamo memoria della storia recente. Nel 1984, il 27 maggio, Giovanni Paolo II, nella sua visita a Viterbo, volle incoronare la Madonna e il Bambino dipinti su tegola nel lontano 1417. Molti i santi e beati devoti della Vergine SS. della Quercia: Filippo Neri, Carlo Borromeo, Paolo della Croce, Ignazio di Lojola, Giacinta Marescotti, Lucia Filippini, Rosa Venerini, Lucia da Narni, Colomba da Rieti, Camillo de Lellis, Domenko della Madre di Dio, Crispino da Viterbo, Massimiliano Kolbe, Vincenzo M. Strambi, José Maria Escrivà, Lorenzo Salvi ed altri.
Fra le notizie della storia del santuario, non possiamo dimenticare la grande rovina che i Lanzichenecchi, sterminati poi da una grandinata eccezionale alle pendici del Monte S.Angelo nei pressi di Bagnaia, procurarono al Monumento nel 1527-1528.
Altre volte il complesso monumentale subì l'oltraggio della guerra: agli inizi del 1800 da parte dei soldati francesi al seguito di Napoleone e da parte dei garibaldini nel 1867.
Un altro triste episodio fu il furto, perpetrato la sera di Natale del 1700, che fruttò ai ladri un ingente bottino. Infatti tutti gli ori e gli argenti presenti nella chiesa furono rubati e la tegola della Vergine venne ripulita da tutte le pietre preziose che i fedeli avevano donato. In riparazione fu fatta poi una festa durante la quale si incoronò la Madonna (1706).
Sciaguratamente anche ai nostri giorni, tra il 1970 e il 1980, delle mani sacrileghe hanno fatto per ben due volte ciò che degni compari avevano fatto nel '700.
La devozione della Madonna della Quercia ebbe una più grande risonanza ed arrivò anche in lontane regioni d'Europa. Infatti, ad Ascona (Svizzera) si venera un quadro della Vergine della Quercia dipinto, si dice, da fra Paolino da Pistoia che i frati Domenicani portarono da Viterbo nel 1550.
Ogni anno, la seconda domenica di settembre, giorno in cui si commemorano i "Benefici dalla Sacra Immagine della Beata Vergine della Quercia", numerose città e paesi, con le loro confraternite, partecipano alla processione di ringraziamento, chiamata del "Patto d’Amore"; il sindaco di Viterbo, a nome di tutti i partecipanti , rinnova la consacrazione antica , fatta da tutto l’Alto Lazio nel lontano 1467.
Anche qui a Buenos Aires, terra lontana, dov`è giunta la Madonna della Quercia, l`omonima associazione ha celebrato la festa in suo onore nel Santuario della Madre degli Emigranti alla Boca. Domenica 31 agosto i devoti si sono radunati per la celebrazione eucaristica e la processione. Il pranzo, svoltosi nel salone adiacente, è stato un successo di partecipazione e gioia. Tra i presenti bisogna ricordare Mons. Velasio De Paolis, vescovo scalabriniano impegnato in Vaticano, che di passaggio a Buenos Aires per una conferenza nell`Università Cattolica ha voluto condividere il pranzo assieme ai soci della Madonna della Quercia.